A Bobbio Pellice c'era un presidio confinario dei 'Moru', verso i quali la popolazione nutrì progressivamente odio, soprattutto dopo i successivi bandi di chiamata alla leva, disattesi dai giovani locali.
Abele Bertinat si spingeva spesso fino alla 'Trattoria dei Cacciatori' per avere informazioni sui movimenti dei nazifascisti e per, come ama dire lui, 'tastare il polso della situazione' ed ebbe la conferma che la convinzione diffusa presso il nemico era che in Valle non ci fossero ribelli.
Niente di più sbagliato, perché i ribelli c'erano e si concentravano in due nuclei distinti a Serre di Sarsenà - Comba e alla Vigna ed avevano come anello di congiunzione 'il Capun', che capiva i Böbiarel e che, sacco in spalla, percorreva quotidianamente la strada Vigna-Bessè, dove si trovava la squadra, e si incontrava con gli uomini di Bobbio, quando non saliva al loro campo del Serre.
In 'Terra ribelle', la sede del Ventuno alla Vigna è così descritta: "Sita sul costone che, scendendo da Roccia Corpo, forma la sponda occidentale del torrente Carlofrate, pur distando pochi minuti di marcia dallo stradone, non è facilmente visibile, perché sorge fra boschi di castagni".
Ancora oggi, nella piccola frazione c'è una lapide inaugurata il 2 agosto 1946 che con orgoglio recita: "Dall'8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 questa casa fu centro ed asilo sicuro ai partigiani della Valle".
E' la casa di 'Barba Louis', Luigi Bertin Maghit.
Era la 'casa dei ribelli', di quelli del Ventuno: ampia cucina, pareti nere di fumo, bivacco rumoroso.
Sempre Prearo ricorda: "Le armi erano dovunque: appese ai muri, appoggiate sulle seggiole, sui tavoli e davano all'ambiente uno strano aspetto guerriero […]
Nessun ribelle potrà dimenticare il pentolone, sempre al fuoco, da cui ognuno poteva scodellarsi un piatto di minestra".
L'attività dei ribelli, oltre che militare in senso stretto (doppio assalto alla caserma di Bobbio), era 'civica': protezione del patrimonio boschivo di Valle dagli speculatori di legname, prima attraverso opera dissuasiva con volantini, poi con azione rigorosa di pattuglia; addestramento delle 'reclute' da parte dei 'vecchi'; servizio di Intendenza per provvedere i viveri, bestiame e grano, sottratti all'ammasso o dai silos, per immagazzinarli alla Ciaperassa o farli trasportare alle bande da Ricou del Ciarmìs, Enrico Bouissa alias 'lou maire', o da Dory Peyrot.
I partigiani esercitavano un servizio di polizia contro i taglieggiatori ed i comuni di Villar e Bobbio 'ricambiavano' con tessere annonarie, documenti falsi e carte di identità.
I rapporti con la popolazione erano solidali, anche se si distingueva, come dice il Capun, tra 'amici fino all'osso' ed 'incerti'.
C'erano pure 'i nemici', cioè le spie, anche se poche, come ama sottolineare Abele. Durante le puntate ed i rastrellamenti nemici, i rifugi diventavano 'i pertus' o 'buchi', fra i quali i più noti rimangono Balangie e Maccanay, sopra Bobbio, anche perché celebrati in un canto partigiano da 'Gayot' (Giovanni Gay) e 'Nucciu' (Giovanni Negrin).
Anche il comando dei maquisards della Valle del Queyras era in contatto con il comando dei ribelli della Val Pellice: il loro primo incontro fu organizzato al Colle dell'Urina da Barba David, un sessantacinquenne contrabbandiere, amico dei partigiani, conoscitore della montagna ed 'inafferrabile' per la Milizia Confinaria, che non era stata mai in grado di 'cucarlo' e di impedirgli di continuare il 'suo lavoro'.
L'incontro avvenne tra Mr. Woehrlè da parte francese, capo della Gendarmeria di Abriés, ed Abele Bertinat da parte ribelle.
I 'guerriglieri' di Bobbio erano dei montanari che di giorno lavoravano nei campi e di notte partecipavano ad incursioni per accaparrarsi armi e munizioni.
E' molto viva l'immagine che Favout traccia di 'Gayot', montanaro robusto, che lascia cadere nel prato la falce che stava usando durante la fienagione, per seguirlo con prontezza quando arriva l'ora della scelta all'8 settembre o il racconto di Prearo che sottolinea la determinazione dei fratelli Bertinat, le cui mitragliatrici non cessano mai di sparare.
In 'Italia libera' esistono luoghi di ritrovo dei partigiani: la 'Trattoria dei Cacciatori' a Bobbio, 'l'Alpino' a Villar e 'La Vittoria' a Torre, locali dove 'sono ribelli anche le bottiglie'.
Antonio Prearo, 'il Capun', nella sua 'Terra ribelle' ricorda che Santa Margherita: "Segnava il confine fra due stati: da una parte nazifascisti, dall'altra ribelli; da una parte invasori e traditori, dall'altra combattenti della libertà; da una parte territorio occupato, dall'altra Italia libera".
Quando quest'esperienza 'finisce', a causa del rastrellamento del marzo 1944, la riorganizzazione è difficile, ma porta 'i guerriglieri' dell'Alta Valle a costituire nuove basi.
Un gruppo di uomini si riunì al Chiotas, un altro alle Meisonëtte sopra Përtusel, nel quale trovarono posto Gustavo Malan e Gianni Bandioli; il 'comando ambulante' di Abele ed Emilio Bertinat, legato alla Missione Gobi-Orange, mise la radiotrasmittente a Comba Crosa, in uno dei tanti 'përtus'; i 'fratelli Bandiera', Giulio e Cei Cesan, mantennero i contatti con il gruppo di Torre Pellice.
Molti ribelli appartenenti a squadre sbandate della Val Germanasca, vissuti per un po' alla macchia e riunitisi spontaneamente, furono collegati e 'resi regolari' dal Comando della Val Pellice che li organizzò provvisoriamente in alcuni campi: a Môlinas, nella Comba dei Carbonieri, dove fu nascosta una radiotrasmittente della Missione Alleata di Calleri di Sala; al Col di Cassulè, a Pralapia, a Pian Pra, roccaforte degli uomini di 'Meo' e 'Tom' (Demaria e Salvagiot), per lo più di Bricherasio.
La rinascita coinvolge anche la Val Germanasca, grazie a 'Poluccio' Favout ed i collegamenti tra le due valli vengono mantenuti tramite Roberto Malan, Commissario Politico e Coordinatore Militare: nascono le Colonne Val Pellice e Val Germanasca.
I contatti con Torino sono possibili grazie ad un vecchio autocarro a gasogeno, il traballante 'Norge', proprietà della Mazzonis, spesso oggetto di scherno, decisamente obsoleto, ma funzionale alla guerra partigiana, perché trasportava sotto il naso dei 'plufer' materiali di contrabbando e persone e costituiva, come ricorda con affetto il 'Capun', "un ottimo trait d'union tra Val Pellice e Torino ed era un covo ambulante di ribellismo".
Il morale era sostenuto sia dalle notizie di Radio Londra, che prometteva prossimi e numerosi lanci alleati nella Conca del Pra, sia dalle prime azioni del gruppo dinamitardo di Vanzetti, sia dalla collaborazione delle squadre volanti garibaldine e dell'Intendenza di Dino Buffa, utile a 'sfamare' le molte reclute del 'partigianato estivo', secondo la pungente definizione di 'Giulietto' Giordano, sia dagli aiuti preziosi della Stamperia e dell'Ospedale Valdese.
Il problema assillante del cibo era risolto con il contributo dell'Intendenza che operava in pianura oppure attraverso i lanci alleati che iniziano frequenti a partire dal giugno 1944.
Quando Radio Londra lancia i suoi annunci in codice: "Il libro è aperto" o "Il mondo è giovane", gli uomini di Bobbio e del Ventuno sanno che nella notte cadranno al Pra dal cielo bidoni con esplosivo, indumenti, armi e munizioni, scarpe e viveri, dallo zucchero alla farina, dal baçon alla margarina, dalle sigarette ai soldi.
Ed è festa. Nella sua intervista Abele ricorda: "Al primo lancio, credevamo fossero paracadutisti, tutti lì con il mitra… Invece sentiamo a terra pum… pum… pum… e un paracadute prende fuoco. Erano arrivate armi!".
Loro però aspettavano cibo…
La stessa clandestinità fu meno sentita, tanto che i ribelli dei diversi gruppi, molto vistosi con i loro fazzoletti (verdi, gialli, blu e bianchi) ricavati dai paracadute alleati, passeggiavano un poco incautamente per le strade.
I nemici, contrariamente alle aspettative, si ripresero e la Colonna Val Pellice con i suoi gruppi 'A', 'T', 'R' e 'B' dovette lottare contro una nuova strategia, quella dell'affamamento.
Il blocco dei viveri iniziò ai primi di luglio del 1944 e per combatterlo il gruppo di 'Meo' fu mandato in pianura a provvedere: il grano venne concentrato al Montoso, dove circa 60 muli partiti da Bobbio andarono a prelevarlo, con il 'consenso' garibaldino.
Le notizie di attacchi in forze da parte dei nemici alla Val Chisone di 'Bluter' (Marcellin), alla Val Germanasca di 'Poluccio' (Favout), alla Valle Po e alla Val Maira di 'Barbato' (Colajanni) spinsero i comandanti delle Valli ad un incontro a Pian Pra, dove fu decisa un'azione di disturbo contro le caserme di Bricherasio e di Bibiana, per alleggerire la pressione.
Alla parola d'ordine 'Garibaldi' e alla controparola 'Mazzini', nella notte del 3 agosto sarebbe iniziato l'attacco congiunto, garibaldino e giellista, contro i nazifascisti.
Il Capun, in 'Terra ribelle', scrive un resoconto 'veritiero, ma duro' sul come si svolsero i fatti, che ebbero forti conseguenze: Prearo, considerato 'capro espiatorio', fu sostituito nel Comando di Valle da Abele, successivamente rimpiazzato da Vanzetti, ed 'ufficialmente promosso' come Ispettore Centrale nel Comando regionale G.L.; 'Tino' Martina, forse ingenerosamente accusato, 'uscì di scena', proprio lui che era stato uno tra i primi ribelli dopo l'8 settembre; Vanzetti lanciò il suo progetto di pianurizzazione.
In Valle ci furono crisi e sbandamento, aggravati dalla forte pressione dell'Operazione Usignolo 'Nachtigall', che nel mese di agosto investì tutte le valli dell'arco alpino occidentale.
Era arrivato il momento di lasciare la montagna e di colpire i nemici nei loro 'punti nevralgici' in pianura, ma alle Serre di Sarsenà, il gruppo dei 'vecchi' partigiani guidati da Abele e 'Gayot' rimaneva a vigilare e a lavorare per la Liberazione.



Il gruppo del Ventuno, nato in una stalla a Cucurda, è opera di Renato Poët (Renè) e Giovanni Poët (Jean), che odiavano i tedeschi, 'sti bastard' (questi bastardi), come spesso imprecava Renè, detto anche 'Moretto', e designato come capo indiscusso. Con lui collaborarono fedelmente, oltre Jean, Poluccio Poët (P'luc) e Aldo Castellano (Braccio), così detto perché era il braccio destro di Renè e molto forte nel braccio di ferro, che controllava la squadra della 'Coustera'.
'Il Capun' Prearo fornisce di Renè un ritratto forte, mettendone in luce la chiarezza di idee, la democraticità, la ferrea disciplina, la fermezza, la capacità di convinzione, la rettitudine, la segretezza.
Non meno intensa è la presentazione che una testimonianza recente della moglie di uno del Ventuno ha fornito: "Il lungo capo Moretto marciava con passi lunghi e cadenzati, sempre con piede sicuro, e così era il suo modo di agire: si metteva solo, con la fronte tra le mani, studiava e poi, quando decideva, tutti lo ascoltavano come fosse un padre.
Per Renè il motto era: 'Brava gent, fuma le cose da bin…' (Brava gente, facciamo le cose a dovere!)".
Sentite anche le parole di ricordo, dopo la sua morte, scritte da Roberto Malan che ne sottolinea l'onestà intellettuale di "non raccontare bugie a se stessi" o la definizione che dà di lui la Rochat; "… tipico comandante partigiano, profondamente antimilita-rista, dotato di eccezionale ascendente, di idee chiare, coraggio, rettitudine ed equilibrio".
Può un antimilitarista imbracciare le armi? Sì, se è per la giustizia e la libertà.